Il nostro è il tempo delle paure e delle solitudini.

Siamo cresciuti credendo che il mondo fosse definitivo. L’irruenza di cambiamenti radicali ha generato una paura diffusa e un acuto senso di solitudine e di insicurezza.

Zygmunt Bauman ha parlato di vulnerabilità. Certo, le questioni irrisolte non sono poche, dal terrorismo all’insicurezza sociale, alle migrazioni. Non sempre le nostre paure sono commisurate a pericoli effettivi, ma ciò non rende il fenomeno meno grave, tutt’altro. Sono questioni che vogliamo e dobbiamo affrontare, cercando di interpretarne la complessità.

La paura non è solo un fatto intimo e personale, sta diventando sempre più un fatto sociale. Sono altri a dirci cosa e quanto ci deve fare paura, perché la paura provoca tensione, uno stato di allerta continuo, un senso di offuscamento della realtà. La strumentalizzazione della paura ci spinge a chiuderci in noi stessi e ad alzare barriere verso gli altri o, nel caso peggiore, a chiedere a terzi che una qualche barriera venga alzata tra noi e ciò che ci terrorizza.

È esattamente in questo meccanismo che si insinua l’uso politico della paura. In larga parte incapaci di fornire soluzioni concrete, alcuni politici fomentano sapientemente le paure, dipingendo pericoli imminenti e dichiarando che il loro obiettivo è proprio quello di far fronte al senso di insicurezza che hanno creato. Gli imprenditori della paura puntano ad evitare soluzioni concrete e possibili per far leva direttamente sull’indebolimento della nostra comunità civile e disegnano scenari apocalittici a cui rispondere con ricette tanto rumorose quanto irrealizzabili.

Di fronte a tutto ciò cosa possiamo fare? Se siamo in una stanza buia e abbiamo paura, accendiamo la luce e la paura svanisce. È ciò che non conosciamo che ci fa più paura. Non conosciamo il nostro futuro, non conosciamo “l’altro”, il diverso da noi. Allora accendiamo la luce, approfondiamo, studiamo, conosciamo!

Accendiamo la luce. Su di noi, sulle persone che vivono con noi, sulle loro storie. Accendiamo la luce dei tanti spazi vuoti, chiusi o abbandonati delle nostre città. Il loro buio genera paure e insicurezza. La cultura può infondere loro nuova vita.

La cultura non è soltanto conoscenza del passato (che già ci indicherebbe gli errori da evitare), è anche disposizione verso la creatività: soltanto immaginandola possiamo costruire una società che sostituisca desideri a incubi, alleanze a rivalità, cooperazione a concorrenza.